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Amarcord: 1968, la Leggenda dei Busby Babes, dalle ceneri al trionfo europeo

Amarcord: 1968, la Leggenda dei Busby Babes, dalle ceneri al trionfo europeo

 di  Maurizio Pilloni   vedi letture

Fu a partire dal 1950 che i maestri inglesi del football compresero di non essere più gli indiscussi dominatori del gioco del calcio. In quell’anno si disputò in Brasile la quarta edizione della Coppa del Mondo, la prima dal dopo-guerra con gli inglesi che si presentarono in Sudamerica come l’assoluta favorita del torneo. Dopo un buon esordio con vittoria (2-0) contro il Cile, gli inglesi subirono nella seconda partita quella che è a tutt’oggi la peggior sconfitta della storia per la nazionale di Sua Maestà. Nel caldissimo stadio di Belo Horizonte gli Stati Uniti, che avevano una squadra composta prevalentemente da dilettanti, riuscirono clamorosamente a sconfiggere per 1-0 la ben più quotata Inghilterra, una sconfitta cui molti tifosi inglesi, leggendo il giorno dopo il risultato sui quotidiani sportivi, non vollero credere, pensando addirittura ad un errore di stampa. La sconfitta patita tre giorni dopo contro la Spagna (1-0) sancì l’eliminazione definitiva dell’Inghilterra che ritornò a casa fortemente ridimensionata. Da quel momento ci sarebbero voluti ben sedici anni per vedere la nazionale inglese trionfare in un campionato del mondo, e addirittura diciotto per vedere una squadra inglese trionfare nella competizione per club più importante, vale a dire la Coppa dei Campioni. Istituita nel 1955, per anni la Coppa dei Campioni fu un tabù per le squadre inglesi, ma nel 1968 fu il Manchester United di Sir Matt Busby ad interrompere la tradizione negativa dei club inglesi mettendo la propria indelebile firma nella storia della competizione. Quel Manchester United portava dietro di sé una storia epica, fatta di un destino avverso che ne spense i sogni ma non l’anima, fatta da uomini veri che entrarono nella leggenda regalandoci una delle pagine più belle ed emozionati della storia del calcio.

Sir Matt Busby

LE ORIGINI DEL MITO. Per raccontare una grande storia bisogna sempre partire dalle origini, a cominciare da quello che fu l’indiscusso protagonista nonché artefice di quella squadra meravigliosa, vale a dire Sir Matt Busby. Nato a Bellshill (Scozia) da una famiglia di umili origini, iniziò a giocare nel Manchester City nel 1928 dove rimase per otto stagioni vincendo anche una FA CUP nel 1934, per poi passare nel 1936 al Liverpool, club del quale sarebbe diventato anche capitano. La sua carriera venne interrotta dalla Seconda Guerra Mondiale, e alla fine di essa, nel 1945, appese le scarpette al chiodo e prese la guida del Manchester United firmando un contratto quinquennale. La guerra lasciò conseguenze pesantissime in ogni ambito della società civile, calcio compreso. Lo stadio del Manchester United, il famoso Old Trafford, fu inagibile fino al 1949 (lo United giocò le sue gare casalinghe nello stadio del City) a causa dei massicci bombardamenti tedeschi durante la guerra. In quel periodo a Manchester l’unica cosa più rossa delle casacche dello United era il bilancio della società, con un passivo stimato all’epoca in circa 70000 sterline, un enormità per l’epoca. Fu per questo motivo che Busby assieme al suo fidato secondo, tale Jimmy Murphy (colui che scoprì un certo Duncan Edwards), decise di ricostruire la squadra partendo dall’attenta e minuziosa ricerca di giovani talenti che avrebbero permesso al club di essere protagonista nel giro di qualche anno prima in patria e poi in Europa, quest’ultima vera e propria ossessione per Busby che si porterà dietro per tutta la carriera. I risultati arrivarono presto con tre secondi posti di fila (1947,1948,1949) e una FA CUP vinta nel 1949. Seguirono un quarto posto (1950), un altro secondo posto (1951) prima di arrivare al primo sospirato titolo d’Inghilterra nel 1952. Negli anni seguenti Busby costruì una squadra formidabile con giovani straordinari del calibro di Bobby Charlton e Duncan Edwards affiancati a campioni già consacrati come Viollet e Taylor. Quella squadra, che nel frattempo aveva assunto l’appellativo di Busby Babes (dovuto al nome dell’allenatore e alla giovane età dei giocatori), vinse altri due titoli d’Inghilterra nel 1956 e nel 1957, e dopo essersi fermata in semifinale di Coppa dei Campioni nel 1957 (sconfitta dal Real Madrid), nel 1958 la squadra di Busby si sentii pronta per ritentare l’assalto all’Europa. Gli inglesi sconfissero nell’ordine lo Shamrock Rovers, il Dukla Praga e nei quarti di finale la Stella Rossa di Belgrado, quest’ultima superata 2-1 all’andata a Manchester e fermata sul 3-3 nel ritorno a Belgrado.

LA TRAGEDIA DI MONACO. Il 6 Febbraio 1958 i Busby Babes stavano facendo ritorno da Belgrado dopo la gara pareggiata 3-3 contro la Stella Rossa e la conseguente conquista della semifinale di Coppa dei Campioni. A quel tempo per percorrere la tratta Belgrado - Manchester era necessaria una sosta a Monaco di Baviera per poter fare rifornimento di carburante. Quel giorno a Monaco si abbattè una grande bufera di neve, tale che i giocatori ormai rassegnati, pensarono che avrebbero trascorso la notte in Germania per poi partire il giorno dopo. Non erano dello stesso avviso i piloti, che convinti di poter partire senza problemi, optarono per il decollo. Purtroppo quell’aereo non decollò mai, si spezzò subito un ala e l’aereo terminò la propria corsa schiantandosi al suolo, precisamente su un distributore di carburante che causò un enorme incendio  che avvolse l’aereo in una terribile morsa di fiamme. Morirono sul colpo ben sette calciatori, tra cui Roger Byrne, colonna difensiva della nazionale inglese dell’epoca e Tommy Taylor, il calciatore famoso per essere stato pagato 29999 sterline, perché Busby, uno non proprio avvezzo alle spese folli, non voleva che fosse chiamato “il calciatore pagato 30000 sterline”. Gli altri che morirono sul colpo furono Bent, Colman, Jones, Pegg e Whelan, più tre persone dello staff della squadra, otto giornalisti e quattro membri dell’equipaggio. Quindici giorni dopo lo schianto, dopo aver lottato come un leone tra la vita e la morte, morì anche Duncan Edwards, uno dei giocatori inglesi più forti della storia per il quale Busby stravedeva e che  convinse a giocare per lui a soli 15 anni. Per descrivere la grandezza di Duncan Edwards bastano le parole di Tommy Docherty (manager dello United dal 1972 al 1977) che disse:”Non ho alcun dubbio nella mia mente che Duncan sarebbe diventato il più grande calciatore di sempre. Non solo il numero uno del calcio britannico, ma di tutto il mondo. Best è stato qualcosa di speciale, come del resto Pelè e Maradona, ma a mio avviso Duncan era superiore per la sua completezza”. Da quel disastro si salvarono Berry e Blenchflower (che però a causa delle ferite riportate non giocarono più a calcio) più Wood, Scanlon, Viollet e Gregg. Oltre a loro si salvarono anche i due giovanissimi Bobby Charlton e Bill Foulkes, i due giocatori da cui Busby sarebbe ripartito per ricostruire da capo il Manchester United. Il destino di Busby fu appeso ad un filo per settimane, tanto che ricevette per ben tre volte l’estrema unzione. I dolori fisici lancinanti che lo tormentarono sul letto d’ospedale furono nulla rispetto ai tormenti interiori che patì, un dolore psicologico che probabilmente non lasciò mai l’anima di Sir Matt, perché egli si sentiva responsabile per la morte dei suoi ragazzi, che lui aveva trascinato in giro per l’Europa con l’unico scopo di vincere la Coppa dei Campioni, la sua ossessione. Nella sua enorme sofferenza Busby trovò la forza di sopravvivere, forse guidato dalla convinzione e dalla volontà di dover realizzare quel sogno europeo, non solo per sé ma anche per i suoi ragazzi volati in cielo troppo presto. Un pomeriggio dalla sua camera d’ospedale si fece collegare telefonicamente con gli autoparlanti dell’Old Trafford poco prima di una partita e ascoltato dallo stadio gremito per l’occasione pronunciò queste semplici parole cariche di emozione: “aspettatemi, aspettateci, perché noi vinceremo la Coppa dei Campioni”.

George Best

LA RICOSTRUZIONE PASSA DA BELFAST. Le prime stagioni sportive post-Monaco furono tutto tranne che esaltanti, ad eccezione del campionato 1958/1959 che lo United concluse al secondo posto. Fu condotta una campagna acquisti piuttosto importante che portò all’arrivo tra il 1958 e il 1962 di giocatori importanti quali Pat Crerand, Noel Cantwell, Albert Quixall, Maurice Setters e Denis Law, quest’ultimo uno scozzese con discreto fiuto del goal, pallone d’oro nel 1964 e capace di segnare 303 reti in carriera di cui 237 solo con la maglia dello United. Fu però nel 1961 che lo United acquistò il giocatore in grado di fargli fare il salto di qualità, un ragazzino che al tempo aveva solo 15 anni e il cui nome era George Best. Naque a Belfast il 22 Maggio 1946 da una famiglia protestante, primogenito di cinque figli. Cominciò a giocare a calcio da giovanissimo e la sua squadra del cuore era il Wolverhampton, una squadra inglese che in quegli anni dominava in Inghilterra e girava l’Europa calcistica con buoni risultati. Venne notato da un osservatore del Manchester United, tale Bob Bishop, che rimasto letteralmente folgorato dalle doti di quel ragazzino, corse ad inviare un telegramma destinato a Matt Busby scrivendo queste semplici parole: “Credo di averti trovato un genio”. Al telegramma Bishop aggiunse una telefonata, specificando a Busby di avergli trovato il giocatore che gli avrebbe fatto vincere la Coppa dei Campioni.  Bishop riusciì a convincere Dickie Best, padre di George, a lasciarlo partire per Manchester dove avrebbe fatto un provino con la squadra giovanile. Il padre, in verità non troppo convinto, alla fine diede l’assenso alla partenza, ma per il futuro del figlio, che non credeva sarebbe mai diventato un professionista, aveva in mente un posto di lavoro in tipografia, e quando Dickie disse questo a Bishop, egli rispose:” Signor Best, suo figlio i giornali mica li stamperà, ci finirà sopra!”. Inutile dire che quel provino il giovane George lo superò senza problemi, entrando nella squadra giovanile del Manchester United. Matt Busby, che nel frattempo aveva cambiato il nome dei suoi da Busby Babes a Red Devils perché a suo parere suonava più intimidatorio nei confronti degli avversari, seguì da vicino i progressi del giovane Best che nei due anni passati nelle giovanili finì con il demolire e mortificare ogni avversario che si trovava contro. Nel giorno del  suo diciassettesimo compleanno firmò il suo primo contratto da professionista e il 14 Settembre 1963 arrivò finalmente il suo debutto da titolare in prima squadra nella partita di campionato contro il West Bromwich Albion. Lo United vinse 1-0 con Best che non trovò la via della rete, ma incantò tutti con una prestazione di alto livello che gli valse svariati titoli sui quotidiani sportivi. Dopo quella partita George tornò a giocare nelle giovanili e per le vacanze di Natale tornò a casa dalla sua famiglia. Successe però che nel Boxing Day lo United prese una batosta terribile e Busby infuriato decise di ribaltare completamente la squadra. Il 27 dicembre Best fu richiamato alla base, perché il giorno dopo nel match contro il Burnley avrebbe giocato titolare con indosso la maglia numero 7. La vittoria contro il Burnley fu netta, la prestazione di George sempre di altissimo livello e stavolta condita anche da un goal, il primo di una lunghissima serie. Da quel momento in poi George giocherà sempre diventando il fulcro del Manchester United. Concluderà quella stagione con un bottino fatto di ventisei presenze e sei reti con lo United che chiuderà al secondo posto dietro al Liverpool campione d’Inghilterra.

Bobby Charton

L'ASSALTO ALL'EUROPA DEL 1966. Il Manchester United vinse con merito il titolo d’Inghilterra nel 1965 a otto anni esatti dall’ultimo trionfo e conquistò il diritto di partecipare alla Coppa dei Campioni 1965/1966. Lo United cominciò la sua campagna europea sconfiggendo prima l’HJK Helsinki poi il Vorwarts Berlino, arrivando ai quarti di finale dove ad attenderla c’era il grande Benfica di Eusebio, una delle squadra più forti d’Europa. La gara d’andata si giocò a Manchester, con lo United che si impose 3-2 con le reti di Herd, Law e Foulkes. Il ritorno si giocò all’Estadio Da Luz un mese dopo, il 9 Marzo 1966. Busby preparò la sfida nei minimi dettagli, impostando una gara difensiva per far stancare gli avversari per poi colpirli senza pietà in contropiede. Come ebbe modo di dire anni dopo lo stesso Busby, degli undici che scesero in campo quella sera, tutti lo ascoltarono tranne uno, George Best, e per fortuna aggiungiamo noi. Bestie nei primi undici minuti segnò subito due reti, la prima di testa mentre la seconda con una azione micidiale conclusa con un tiro perfetto all’angolino. Fu la sua serata, quella che lo consacrò definitivamente a livello europeo con i giornali di tutta Europa letteralmente impazziti di fronte alle prodezze del fenomeno nordirlandese. A Bola, giornale portoghese, lo soprannominò Quinto Beatle a causa del suo look e del suo comportamento spesso sopra le righe, un soprannome mai accettato da George che preferiva gente come Jim Morrison, bello e maledetto come lui ma soprattutto un anticonformista vero, non uno che vestiva in giacca e cravatta come i Beatles. Lo United vinse quella partita per 1-5, risultato straordinario contro una squadra data tra le favorite per la vittoria finale. Quell’anno sembrava essere davvero quello del Manchester United, ma ancora una volta Busby e i suoi ragazzi videro sbarrate le porte della finale, merito del Partizan di Belgrado che in semifinale, non senza fatica, eliminò i Red Devils e raggiunse il Real Madrid in finale. Fu una sconfitta che colpì profondamente Matt Busby, ormai quasi rassegnato all’idea di non riuscire a vincere la tanto agognata Coppa dei Campioni.

Real Madrid - Manchester United 3-3

UN'ALTRA GRANDE POSSIBILITA'. Nel 1967 lo United rivinse il campionato inglese guadagnandosi la possibilità di partecipare alla Coppa dei Campioni 1967/1968. I primi turni della competizione non portarono grossi problemi ai Red Devils che si sbarazzarono nell’ordine di Hibernians, FK Sarajevo e Gornik Zabrze, guadagnondosi l’accesso alla semifinale da disputarsi contro il grande Real Madrid di Francisco Gento, uno dei giocatori spagnoli più forti della storia. L’andata si giocò in Inghilterra, finì 1-0 per lo United con rete decisiva di Best, ma nel ritorno in Spagna le cose furono decisamente più complicate. Si giocò in una bolgia chiamata Stadio Bernabeu, la storica casa del Real Madrid, davanti a 125000 spettatori che creavano un’atmosfera tale che avrebbe fatto tremare le gambe anche al guerriero più valoroso. La partita nel primo tempo fu un monologo del Real Madrid che si portò avanti subito di due reti siglate da Pirri e dal solito Gento. Un clamoroso autogoal di Zoco sembrò riaprire le sorti del match, ma Amancio proprio allo scadere siglò il 3-1, una rete che di fatto sembrò chiudere la gara condannando lo United all’ennesima eliminazione in semifinale. Negli spogliatoi Busby seppe mantenere la calma e il sangue freddo, perché per nessuna ragione avrebbe accettato di andare fuori per l’ennesima volta in semifinale. Mandò Sadler (un difensore) in avanti e spostò Best a fare il centravanti lasciandogli totale liberà di azione. Quello che Busby compì fu forse il più grande capolavoro tattico della sua carriera riuscendo a rimontare una gara data da tutti o quasi come ormai perduta. Al 78’ segnò proprio Sadler riaprendo di fatto la gara, poi due minuti dopo salì in cattedra in fenomeno di Belfast che sulla destra si inventò un’azione da antologia lasciando sul posto Sanchis, il suo diretto marcatore, con un dribbling dei suoi e mettendo in mezzo per l’accorrente Foulkes, uno dei sopravvissuti di Monaco, di professione difensore centrale ma per l’occasione spietato centravanti che con un piattone destro trafisse Betancourt regalando allo United la sua prima storica finale di Coppa dei Campioni.

Finale di Wembley

LA FINALE DI WEMBLEY. La finale, ironia della sorte, si giocò a Wembley, lo stesso stadio in cui l’Inghilterra due anni prima con il suo capitano Bobby Moore alzò al cielo la coppa del mondo, un trionfo cui presero parte due giocatori dello United, Stiles e Charlton, quest’ultimo poi premiato a fine anno con l’ambito Pallone d’Oro. L’ultimo ostacolo prima della gloria eterna si chiamava Benfica, guidata sempre dall’eterno Eusebio, già sconfitta nel 1966 con un roboante 1-5 a Lisbona, ma decisa più che mai a lavar via l’onta di quella sconfitta. Lo United per l’occasione dovette rinunciare a Law, vittima di un grave infortunio alla caviglia, al suo posto giocò come centravanti Brian Kidd affiancato sulla sinistra da Aston e sulla destra da Best. A centrocampo trovarono posto Charlton, Crerand e Stiles, quest’ultimo con il compito di marcare Eusebio, impresa peraltro già riuscita nei quarti di finale della Coppa del Mondo 1966 tra Inghilterra e Portogallo. In difesa furono schierati Brennan, Dunne, Foulkes e Sadler a protezione dell’estremo difensore Alex Stepney. Fernando Riera, allenatore del Benfica, mise in campo una formazione che prevedeva davanti al portiere Henrique una difesa a quattro composta da Calisto, Cruz, Fernandes e Santos. A centrocampo giocarono Graca, Coluna e Simoes mentre in avanti assieme al grande Eusebio giocarono Josè Augusto e Josè Torres. Fu una partita bellissima e molto equilibrata con emozioni continue da ambo le parti. Il Manchester United passò in vantaggio al 55’ con un gran colpo di testa di Charlton servito splendidamente da Aston, poi a dieci minuti dal termine arrivò il pareggio portoghese con una gran botta di destro di Graca. All’ultimo minuto regolamentare Eusebio sprecò la palla della vittoria calciando addosso a Stepney che si ritrovò con grande stupore la palla tra i guantoni. Il match si sarebbe quindi deciso ai supplementari che iniziarono con i portoghesi decisamente più in forma, ma loro malgrado non fecero i conti con George Best, che in quei supplementari avrebbe scritto una delle pagine più belle della storia del calcio inglese. I portoghesi fino a quel momento lo avevano massacrato di falli, tant’è che l’arbitro dell’incontro, l’italiano Concetto Lo Bello, severo ma imparziale ne ammonì tanti durante il corso del match. Al 7’ del primo supplementare entrò in scena il cosidetto “Georgie Moment”, il momento che avrebbe cambiato definitivamente il corso della partita. Best prese palla nella trequarti avversaria, superò magistralmente due avversari e si presentò di fronte al portiere, dribblando anche lui ed insaccando a porta vuota, scatenando il delirio degli oltre 92000 spettatori di Wembley. Lo United vincerà quella partita 4-1 con reti conclusive di Kidd e Charlton, una vittoria che portò alla conquista della prima Coppa dei Campioni per il Manchester United, il primo club inglese a riuscire in questa impresa. Il significato più bello di quella serata fu tutto nell’abbraccio tra Charlton e Busby nel bel mezzo di Wembley, loro che sopravvissuti alla tragedia di Monaco si portavano dentro da dieci anni una missione che era quella di vincere quella coppa, quasi a voler risarcire in parte un torto del destino che impedì a quei leggendari Busby Babes nel 1958 di laurearsi campioni d’Europa. Per tutti fu la serata di George Best, che si consacrò a livello mondiale e grazie a quella vittoria conquistò lo stesso anno il Pallone d’oro, il massimo riconoscimento per un calciatore europeo. Negli spogliatoi, in mezzo ai festeggiamenti, tutti si aspettavano un discorso da Busby che però non fece, preferendo il silenzio, specchio perfetto di chi era giunto al termine di un lungo viaggio iniziato 23 anni prima.

Dopo quella finale, una volta raggiunto l’apice, inizio per il Manchester United un lento declino, che troverà la sua espressione maggiore nella retrocessione in Second Division nel 1974. Andò peggio a George Best, il cui declino dal 1968 fu inesorabile e rapidissimo, perché il pallone non fu più al centro della sua vita sostituito dai vizi e dagli eccessi ma soprattutto dalla bottiglia, sua fedele compagna di vita fino alla morte, avvenuta a Londra nel 2005. Abbiamo iniziato questo racconto parlando di Sir Matt Busby e lo terminiamo parlando sempre di lui, che poco dopo quella finale decise di ritirarsi dall’attività di allenatore, diventando un dirigente fino al 1982, anno in cui lascerà definitivamente il mondo del calcio. Morirà nel 1994 e la sua morte fu celebrata nella sua casa, l’Old Trafford, dove a rendergli omaggio ci furono uno stadio stracolmo di gente ma soprattutto i suoi ragazzi, quelli che aveva condotto alla conquista dell’Europa 26 anni prima. Nel 2002 fu inserito nella Hall of Fame del calcio inglese, l’ultimo di una serie infinita di riconoscimenti per l’uomo che ha scritto una delle pagine più belle della storia del football.

FINALE

28 Maggio 1968 - Wembley Stadium, Londra, Regno Unito

Manchester United - Benfica 4-1

Manchester United: Stepney, Brennan, Stiles, Foulkes, Dunne, Crerand, Charlton, Sadler, Best, Kidd, Aston. All. Busby

Benfica: Henrique, Adolfo, Humberto, Jacinto, Cruz, Graca, Coluna, Josè Augusto, Eusebio, Torres, Simoes. All. Riera

Reti: 53’Charlton, 80’Graca, 97’Best, 98’Kidd, 100’Charlton.

Spettatori: 92225

Maurizio Pilloni - TuttoChampions.it


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