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Una...morbida caduta dal trono

 di Nicola Galloro   vedi letture

Un novello Dorian Gray. Vi è incappato Le Roi, l’eclettico Platini. Non più la signorina elegante col pallone incollato, bensì l’odierno colpevole colpevolizzato. Beffato dallo stesso diktat più volte pronunciato ed ostentato: quel fair play che da mirabile intento purificatore -comportamentale, prima che economico- si è trasformato in persecutrice ed aguzzina mannaia.

Non entro in merito, nessuna valutazione. Riporto, come si conviene ad un asettico cronista, le variegate e sparse attestazioni di solidarietà ed immutata stima rivolte a Platini dal mondo sportivo nelle ore immediatamente successive alla decisione del Tas di Losanna che, pur riducendo l’entità della sanzione, ne  ha nei fatti spento la carriera dirigenziale. Estremizzando ed esasperando, lo ha tagliato definitivamente fuori. Abete, già numero uno della federazione calcistica italiana, si è espresso in termini di punizione molto severa. Detta dall’attuale vicepresidente UEFA, la Istituzione un tempo capeggiata dal controverso transalpino, la dichiarazione assume pregnante significanza.

Un attualizzato e contestualizzato contrappasso, patito da Platini. Che ha cambiato, innovando, il modus operandi dell’Unione presieduta. Dalle riforme delle Coppe Europee al processo di riequilibro economico del calcio continentale, per giungere alla spinta motivazionale tradotta in una accresciuta presenza numerica arbitrale all’interno dei perimetri di gioco. Ma soprattutto l’ossequioso omaggio da sempre sfoggiato verso il principio ispiratore dello sport: la lealtà, l’etica dell’agire, la pedissequa osservanza delle regole generali di condotta. Un canone che, a contrario, ha sprigionato tutta la propria forza morale fino a divenire il capo di sua imputazione.

Non dimenticando, e però, le applicazioni concrete ricevute dalle norme sul fair play finanziario, talora avversate e contestate. Norme dalla ben identificata promulgazione. Statuizioni che si sono riverberate in proibizionismi, leggi perenni esclusioni, rivolti quasi esclusivamente alle società dell’est europeo. Società che, obiettivamente, hanno da sempre goduto di marginale potere calcistico: perché episodici i trofei innalzati. Ad un Dnipro eccezionalmente finalista di Europa League sono storicamente corrisponde stagioni in cui i club della sfera URSS al massimo si sono fregiati di sole e remunerative partecipazioni nelle fasi a gironi. Anche se resta l’intuizione e la lungimiranza di un mondo da sottrarre alle lustrine ed agli sprechi inossequiosi alle nuove povertà.

Un amaro epilogo, toccato ad una Eccellenza. Del campo prima, della scrivania poi. Eppure amiamo ancora ricordarlo per la leggiadria del campo non meno che per la signorilità dei tratti. 


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